venerdì 23 dicembre 2022

tutti i numeri delle zone marine Fao


Il motivo è nello tsunami che 10 anni fa investì le coste del Giappone provocò un incidente alla centrale nucleare di Fukushima. Ora il Giappone ha deciso di riversare nell’Oceano Pacifico 1,25 milioni di tonnellate di acqua conservata in più di mille grandi cisterne. È l’acqua utilizzata in questi dieci anni per raffreddare i reattori e per questo è radioattiva.

Questa decisione è molto contestata dagli ambientalisti oltre che dai paesi vicini al Giappone, come Cina e Corea del Sud. Proprio in ragione del pericolo per la salute e per l’economia legata alla pesca.

E qui interviene la zona di pesca FAO. L’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura ha diviso il mondo in varie zone assegnando a ciascuna un numero. Sulla base del numero indicato sulla confezione è possibile risalire al luogo di provenienza del pesce.

Il Giappone è nella zona 61. Anche se è molto distante dalle acque che bagnano l’Italia, dalle acque giapponesi arrivano oltre 21 milioni di chili di pesci, crostacei e molluschi. Il numero è fornito dalla Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al 2020 che evidenziano anche l’arrivo in Italia di 18 milioni di chili di pesce dalla Cina e di 3,3 milioni di chili dalla Corea.

Il Giappone ha comunicato che l’unico elemento che non può essere rimosso del tutto dall’acqua radioattiva è il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. Ma assicura che è relativamente poco pericoloso per la salute umana ed è naturalmente presente nell’acqua del mare e nell’atmosfera. L’operazione di riversamento durerà circa 10 anni.

Acquistare o non acquistare pesce proveniente da quella zona di pesca FAO? Se gli ambientalisti hanno contestato la decisione, gli Stati Uniti sostengono che la decisione sia stata presa in maniera «trasparente».

Ai consumatori non resta che controllare l’origine del pesce. Sull’etichetta deve essere riportata la zona di pesca FAO.

Quella c'è ci riguarda, parliamo dall'Italia,  è la 37.

Oltre che sui banchi di pesce fresco, la provenienza è indicata anche su tutte le confezioni di pesce conservato. Il tonno in scatola ne è un esempio.

Per orientarsi nella scelta, ecco tutte le zone di Pesca Fao nel mondo e le specifiche delle sotto zone della 37, cioè il Mediterraneo e il Mar Nero. Di seguito, classifichiamo i relativi numeri:

18 Mar Artico
21 Atlantico nord-occidentale
27 Atlantico nord-orientale e Mar Baltico
31 Atlantico centro-occidentale
34 Atlantico centro-orientale
37 Mediterraneo e Mar Nero
41 Atlantico sud-occidentale
47 Atlantico sud-orientale
48 Oceano Antartico
51 Oceano Indiano
57 Oceano Indiano
58 Oceano Antartico
61 Oceano Pacifico
67 Oceano Pacifico
71 Oceano Pacifico
77 Oceano Pacifico
81 Oceano Pacifico
87 Oceano Pacifico
88 Oceano Antartico

E i sottonumeri relativi alla collocazione delle "zone"

Sottozona 37.1Mediterraneo occidentale
Divisione 37.1.1Baleari
Divisione 37.1.2Golfo del Leone
Divisione 37.1.3Mar di Sardegna
Sottozona 37.2Mediterraneo centrale
Divisione 37.2.1Mar Adriatico
Divisione 37.2.2Mar Ionio
Sottozona 37.3Mediterraneo orientale
Divisione 37.3.1Mar Egeo
Divisione 37.3.2Levante
Sottozona 37.4Mar Nero
Divisione 37.4.1Mar di Marmara
Divisione 37.4.2Mar Nero
Divisione 37.4.3Mar di Azov


mercoledì 5 gennaio 2022

Vivere con l’autoproduzione: come l’autonomia alimentare cambierebbe il mondo

Chi di noi, stanco del sistema in cui viviamo, non ha immaginato almeno una volta nella vita di ritirarsi in campagna, il più lontano possibile dalla civiltà, per vivere in armonia con la natura?

Per molti anni il sogno di molti è stato proprio quello di costruire un ecovillaggio autonomo a livello energetico e alimentare dove, insieme ad altre persone, poter sperimentare una vita comunitaria in armonia coi cicli naturali. Malgrado svariati tentativi dei tanti, le cose non sono andate così ma, nel frattempo, alcuni si sono messi a studiare qualche strumento che potrebbe essere utile a chi vuole provare a produrre il proprio cibo.

Se appartieni a questa categoria, un manuale pratico può aiutarti a partire. Che tu abbia un piccolo cortile o un balcone, un terreno in campagna o un appartamento senza niente di tutto ciò, puoi trovare la guida che fa per te su Terra Nuova o su Macrolibrarsi.

Quanto terreno serve mediamente per l’autonomia alimentare annuale di una persona? Come progettare un insediamento finalizzato al raggiungimento dell’autonomia alimentare? Realizzare l’autonomia alimentare implica anche la riduzione dell’impatto ambientale?
Queste sono state le domande alla base dello studio di alcuni amici ricercatori universitari i quali cercano di dare risposte per iscritto con un articolo scientifico sulla rivista Ecological Indicators.

orto perugia

Il lavoro è consistito nello sviluppare un foglio di calcolo in grado di valutare il terreno necessario per l’autosufficienza alimentare annuale di una qualsiasi popolazione, a partire da una dieta media, equilibrata (mediterranea onnivora, secondo i criteri espressi dal C.R.E.A.) e dai fabbisogni energetici per adulti e bambini. Il tutto, considerando le rese delle produzioni biologiche e gli sprechi alimentari medi degli italiani. In seguito e stato sviluppato ulteriormente il foglio di calcolo, inserendo: 4 diete medie equilibrate (onnivora, onnivora senza pesce, vegetariana e vegana), i fabbisogni energetici per fasce di sesso-età-livello di attività fisica e tutte le principali produzioni zootecniche.

Quest’ultima versione, molto più precisa, restituisce il fabbisogno necessario per ogni coltura coinvolta nelle diete medie equilibrate, diventando così di fatto uno strumento molto utile nella progettazione di insediamenti umani autosufficienti a livello alimentare. Oltre a ciò, ci ha permesso di misurare l’impatto dei differenti stili di vita alimentare.

Ma insomma quanto terreno serve per l’autonomia alimentare annuale di una persona? Secondo gli ultimi calcoli questi sono i risultati: 4750 m2 per una dieta onnivora, 5170 m2 ha per quella onnivora senza pesce, 4680 m2 per la dieta vegetariana e 1820 m2 per una dieta vegana.
Come è evidente la dieta vegana è di gran lunga la più sostenibile utilizzando poco più di un terzo del terreno necessario per l’autonomia alimentare in una dieta onnivora. Questo si spiega facilmente se si considera che carne, uova, latte e latticini, considerando gli stili di vita alimentari attuali degli italiani, impattano complessivamente per il 63,8% del terreno necessario all’autosufficienza alimentare (rispettivamente 39,4% latte e latticini, 20% carne, 4,4% uova).

Molto interessante è vedere la piccolissima differenza che c’è tra l’uso di suolo della dieta onnivora e quella vegetariana. Ciò è dovuto al fatto che, come abbiamo appena visto, la produzione di latte e latticini, presenti anche nella dieta vegetariana, ha un impatto molto grande in termini di utilizzo di suolo. Oltre a ciò va considerato il fatto che, per compensare la riduzione delle proteine provenienti dalla carne, nella dieta vegetariana vengono aumentati i consumi di latticini. Infine, come è risaputo, per produrre latte va prodotta necessariamente anche carne che in una dieta onnivora viene consumata ottimizzando perciò l’impatto dell’allevamento in termini di land use (uso di suolo).

Un altro dato molto interessante emerso dal lavoro, è che l’autonomia alimentare, prendendo in considerazione una dieta onnivora, riduce l’impronta ecologica (1) alimentare del’8% rispetto a quella media mondiale e del 47% rispetto a quella di un italiano medio. Tutto questo senza considerare la diminuzione degli impatti derivanti dall’utilizzo di un’agricoltura biologica e dalla riduzione dei trasporti delle derrate alimentari connessa alla rilocalizzazione delle produzioni. Tali risultati sono dovuti prevalentemente alla riduzione degli sprechi alimentari connessi con questa modalità di produzione e trasformazione.

Se tutti utilizzassero una dieta vegana e se rilocalizzassimo le produzioni agricole, la riduzione dell’impronta ecologica alimentare sarebbe di circa il 65% in più rispetto a quella mondiale attuale.

Da questi dati, frutto di calcoli che contengono inevitabilmente delle semplificazioni, sembra piuttosto chiaro che se vogliamo essere più sostenibili è necessario da un lato rilocalizzare le produzioni e dall’altro cambiare il nostro stile di vita alimentare riducendo il consumo di prodotti di origine animale (in particolare latte e latticini e carne). In altre parole, dovremmo trasformare il sistema di produzione e distribuzione alimentare in modo tale da diminuire l’uso di suolo, l’inquinamento, gli sprechi alimentari e i trasporti di cibo. La rilocalizzazione delle produzioni e l’educazione alimentare perciò dovrebbero essere uno dei principali obiettivi delle future politiche agricole.

giovedì 25 giugno 2020

E.R Regione, misure straordinarie per agriturismi, fattorie didattiche e l'intero settore agricolo.

La Giunta regionale approva il progetto di legge "Interventi urgenti per il settore agricolo ed agroalimentare" Luoghi in cui si va per regalarsi un’esperienza di profumi, colori e sapori che hanno un unico denominatore comune: la natura. Ma anche luoghi strategici e importanti che - come tante altre filiere che a causa dell’emergenza sanitaria degli ultimi mesi si sono dovute fermare - ora per rilanciarsi hanno bisogno di aiuto.Stiamo parlando degli agriturismi della nostra regione, uno dei principali destinatari del nuovo progetto di legge regionale, varato dalla giunta, che prevede lo stanziamento di 24 milioni di euro complessivi a sostegno degli ‘Interventi urgenti per il settore agricolo ed agroalimentare’.
Le risorse che il Progetto di legge mette in campo per la filiera agrituristica, destinataria di risorse pari a 2,7 milioni di euro, puntano a sostenere la liquidità delle imprese attraverso l’erogazione di un contributo di 2000 euro per gli agriturismi e di 1000 euro per le fattorie didattiche, oltre a introdurre il servizio di food delivery per gli agriturismi.

Ai progetti di filiera, che promuovono l’organizzazione della filiera agroalimentare, compresa la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli, il benessere degli animali e la gestione dei rischi del settore, vanno 18 milioni di euro, mentre è pari a 1,5 milioni il finanziamento per l’introduzione di sistemi di sicurezza e protezione delle attrezzature e delle macchine agricole presenti in azienda.
Per gli agricoltori del settore bieticolo saccarifero, infine, sono previsti altri 1,5 milioni di contributi, e altri 500 mila euro finanziano l’aggiornamento dei libri genealogici degli allevatori .

“E’ una proposta di legge importante che aiuta le nostre imprese agricole, non solo a far fronte ai danni economici subiti e ripartire, ma anche a investire – chiosa l’assessore all’Agricoltura, Alessio Mammi-.  Stiamo mettendo a disposizione tutte le risorse disponibili per dare fiato al comparto agricolo dopo i mesi complicati del Covid, supportando gli agriturismi, la filiera del latte e altri settori, convinti che la ripartenza vada sostenuta dalle istituzioni che devono essere al fianco delle imprese e dei lavoratori”.

Il food delivery e le iniziative a favore di agriturismi e fattorie didattiche post-emergenza Covid-19

Al fine di preservare il tessuto economico e produttivo della filiera agrituristica emiliano-romagnola, che risulta essere tra le più penalizzate dalle conseguenze della pandemia, la norma regionale prevede il pagamento di un contributo finanziario volto a sostenere la liquidità aziendale per mantenere la continuità delle attività, in particolare il sostegno sarà erogato attraverso l’attivazione di una misura specifica sul Programma di Sviluppo rurale 2014-2020.

Sempre al fine di favorire il rilancio del settore agrituristico, il Pdl propone inoltre alcune modifiche della Legge regionale che norma il settore, la n. 4 del 2009 “Disciplina dell'agriturismo e della multifunzionalità delle aziende agricole”, per consentire agli agriturismi la possibilità di vendere i pasti con modalità di asporto, anche con consegna a domicilio. Una modalità che è stata sperimentata durante il periodo dell’emergenza sanitaria, e rappresenta un’opportunità in più di sviluppo per il settore.

domenica 31 maggio 2020

cosa e come sono le uova

L’uovo è una cellula gametica, chiamata anche cellula sessuale o semplicemente gamete femminile, ed è prodotto dall’ovario della gallina. Il processo di formazione si chiama ovogenesi. L’uovo contiene tutto ciò che è necessario per la crescita del futuro pulcino e, oltre a ciò, lo protegge e lo isola dall’ambiente esterno, permettendo comunque gli scambi gassosi.

Da ricordare che le galline depongono uova anche senza la presenza del maschio. Queste sono comunque commestibili ma non fertili, sono uova “morte” da cui non nascerà niente.

Le parti di un uovo

L’uovo ha una forma ovoidale, i due poli si distinguono in polo ottuso, la parte più larga, e polo acuto, la parte più stretta. Non sempre le galline depongono uova dalla forma classica ovale: alcune le fanno rotonde oppure particolarmente allungate, altre volte può capitare che una gallina deponga una/due uova dalla forma molto strana (spesso causato dalla fusione di due uova) o molto piccole rispetto alla quotidianità. Non sempre dietro a questi “errori” biologici ci sono dei problemi particolari.

Una sorpresa da parte di una gallina di Raffaele – foto dell’allevatore

L’uovo si divide in tre sezioni principali:

  • guscio: è una struttura mineralizzata, rigida ma anche fragile, formata principalmente da carbonato di calcio, è una barriera che ostacola l’ingresso di sporcizia e microorganismi all’interno dell’uovo;
  • albume: è una soluzione acquosa semitrasparente e incolore che circonda l’uovo; dentro si trovano due piccoli cordoni bianchi e gelatinosi avvolti a spirale, chiamati calaze, hanno lo scopo di mantenere il tuorlo sospeso al centro dell’uovo. Appena deposto l’albume dell’uovo non è fluido ma ha una consistenza gelatinosa che perde pian piano col passare dei giorni;
  • tuorlo: ha una forma sferica ed è avvolto da una membrana sottile e resistente, chiamata membrana vitellina, che separa il tuorlo dall’albume, qui è presente il disco germinativo che darà vita al futuro pulcino.

Nella facciata interna del guscio si trovano, ben aderenti, due membrane che si sovrappongono l’una all’altra, all’altezza del polo ottuso queste si separano tra loro andando a formare la camera d’aria. Quest’ultima non è presente nell’uovo appena deposto ma si forma con il passare dei giorni ed è la prima aria che respirerà il futuro pulcino.

La membrana vitellina dà la forma tonda al tuorlo, questa con il passare dei giorni, nell’uovo non fertile, si indebolisce fino a rompersi spontaneamente, all’apertura di un uovo vecchio si troverà una massa giallognola e maleodorante.

Il disco germinativo nelle uova fecondate è di colore grigio chiaro con una grandezza di circa 4 mm, nel caso di uno non fecondo è bianco e molto più piccolo.

1.camera d’aria; 2.tuorlo; 3.membrana; 4.albume gelatinoso

Il guscio dell’uovo può essere soggetto a problemi, sopratutto se la gallina ha carenza di calcio, perché ne occorrono circa 4g per formare un guscio. La carenza di calcio si manifesta con uova dal guscio molle oppure uova senza guscio.

Colorazione del guscio e del tuorlo

Il colore del guscio dipende esclusivamente dalla genetica della gallina e non dall’alimentazione. Il colore delle uova di gallina varia da bianco fino marrone scuro passando per azzurro e verde olivastro. Esistono razze particolari selezionate proprio per la colorazione dell’uovo come Marans e Penedesenca che depongono uova color cioccolato ed Araucana che invece depone uova azzurro/verde.

Uova di Marans

Il colore del tuorlo è influenzato dall’alimentazione dell’animale, è di colore giallo-arancio, ma in caso di alimentazione ricca di vegetali può presentare sulla superficie una patina color giallo-verde. Un colore molto carico del tuorlo, arancione forte, viene percepito come un sinonimo di alta qualità: ma non è vero, il colore dipende dall’assunzione di molti carotenoidi o alimenti che ne contengono come mais. Nell’industria per creare uova dal colore intenso le galline vengono alimentate con sfarinati contenenti alte dosi di carotenoidi di sintesi.

Dimensione delle uova

L’uovo classico che si trova nei supermercati è alto 6/7 cm e con un diametro di circa 5 cm e con un peso medio di 60 g. Il peso di un uovo di gallina varia in base alla grandezza della razza: da 35 g per le razze più piccole fino oltre 70 g. Le uova dei supermercati sono categorizzate in:

  • XL (uova grandissime): peso dai 73g in su; razze Marans;
  • L (uova grandi): con un peso tra i 63g e i 73g; razze Andalusa, Augusta;
  • M (uova classiche): dal 53g fino ai 63g: razze Ancona, Arricciata, Australorp;
  • S (uova piccole): meno di 52g; razze come ChaboSebrightCombattente Inglese moderno;

Nell’arco della vita di una gallina le grandezza dell’uovo non è sempre la stessa ma può variare in base ad altri fattori come l’alimentazione, la muta, l’età, le condizioni ambientali e di allevamento.

domenica 10 maggio 2020

Concimare, si ma con conoscenza


 

Concimare seguendo i bisogni della pianta

Tralasciando gli aspetti legati alla concimazione di fondo e di allevamento, ogni anno l'agricoltore dovrà fornire i nutrienti necessari alle piante attraverso la concimazione di produzione in modo da ridurre al minimo l'alternanza produttiva, massimizzando raccolta e qualità delle olive.

La concimazione azotata dovrebbe essere frazionata in due-tre momenti tra la ripresa vegetativa e la fase di indurimento del nocciolo. È sconsigliata la somministrazione in post-raccolta in quanto lo stimolo all'attività vegetativa indotto dalle concimazioni azotate renderebbe meno resistenti le piante alle basse temperature durante il periodo invernale.

I concimi contenenti fosforo e potassio possono essere forniti anche solo una volta all'anno, in quanto rimangono disponibili alla pianta per un periodo più lungo di tempo. Solitamente vengono forniti prima della ripresa vegetativa, in concomitanza della concimazione azotata, utilizzando concimi NPK (facendo attenzione alle diverse titolazioni). È anche possibile fornire il 70-80% in primavera e il restante in autunno, per sostenere la differenziazione degli apici radicali.

In assenza di irrigazione una modalità efficace di distribuzione può essere la concimazione fogliare. Questa tecnica consente di sopperire rapidamente a carenze nutrizionali ma bisogna comunque prevedere la somministrazione di una quota di concime al suolo.

In condizioni irrigue gli elementi nutritivi possono invece essere somministrati in fertirrigazione. Questo riduce gli sprechi e migliora l'assorbimento. In questo caso gli apporti possono essere scadenzati su base settimanale già dalla ripresa vegetativa, seguendo poi il diverso fabbisogno di elementi che caratterizza ogni stadio fenologico.

È bene ricordare infine che il terreno è dotato di un certo stock di microelementi e che quindi il loro apporto deve essere effettuato esclusivamente nel caso in cui ci siano carenze conclamate. "Non esiste una ricetta valida per tutti gli impianti, ma deve essere studiata sulle singole realtà e aggiornata periodicamente a seconda della mutata composizione del suolo o di una diversa conduzione dell'impianto", sottolinea Caruso. "Gli olivi hanno ad esempio un basso fabbisogno di boro e questo elemento dovrebbe essere somministrato solo in caso di effettiva carenza".

Gli apporti di microelementi possono essere effettuati con diverse modalità: utilizzando concimi NPK arricchiti di microelementi, usando concimi fogliari da applicare insieme ai trattamenti fitosanitari (quando possibile) oppure attraverso applicazioni ad hoc.

Concimazione degli olivi

Quanto concime dare agli olivi? Facciamo qualche calcolo

Per capire quale e quanto concime somministrare alle piante è necessario prima di tutto capire quanti micro e macro-elementi la pianta ha utilizzato e sono stati asportati dal campo attraverso la raccolta delle olive o la potatura. Bisogna poi tenere conto delle sostanze che si sono perse per volatilizzazione o immobilizzate (non più biodisponibili per la pianta) e quelle che invece sono lisciviate, trasportate via dall'acqua.

Un corretto approccio all'oliveto prevede dunque delle analisi del suolo (fatte almeno ogni cinque anni) per avere contezza della quantità di elementi nutritivi presenti nel terreno e della loro biodisponibilità. Si dovrà poi procedere ad una stima della quantità di elementi nutritivi asportati durante un ciclo produttivo e quindi si potrà calcolare la quantità di azoto, fosforo, potassio, etc. da integrare nel terreno.

Indicativamente il fabbisogno in NPK di un olivo in piena produzione e in condizioni di equilibrio è di circa 250, 80 e 200 grammi di N (azoto), P2O5 (anidride fosforica) e K2O (ossido di potassio) rispettivamente.

"Si tratta tuttavia di quantitativi puramente indicativi, che devono essere adeguati alla composizione del terreno, alla tipologia di impianto, all'annata (se di carica o di scarsa) e alla cultivar. Inoltre bisogna tenere in considerazione se il terreno è nudo o inerbito, specialmente in caso di leguminose", spiega ad AgroNotizie Giovanni Caruso, docente di Olivicoltura e viticoltura presso il dipartimento di Scienze agrarie alimentari e agro-ambientali dell'Università di Pisa.

"Sarebbe buona norma poi, se le condizioni fitosanitarie lo consentono, trinciare sul posto i residui di potatura in modo da restituire al terreno alcuni elementi nutritivi. La trinciatura, come il sovescio, al di là del regime di conduzione aziendale, aiuta a mantenere in equilibrio l'oliveto".

Concimi, proprietà

Azoto. È l'elemento alla base della crescita vegetativa della pianta. L'azoto stimola la formazione dei germogli, l'allegagione e lo sviluppo del frutto. Una pianta in carenza di azoto avrà un aspetto stentato, foglie ingiallite (clorotiche) e di ridotte dimensioni.
Fosforo. È il costituente principale delle membrane cellulari e gioca un ruolo chiave in molti processi vitali della pianta, in particolare legati alla sua produttività (fioritura, allegagione, maturazione). Solitamente è questo un elemento abbastanza presente nel terreno, ma in suoli acidi può diventare indisponibile alla pianta e dunque necessita di una integrazione.
Potassio. Questo macroelemento gioca un ruolo chiave nell'accumulo di olio nell'oliva. Basti pensare che più del 50% del fabbisogno di potassio della pianta è destinato ai frutti. Per questo è necessario rinnovare ogni anno lo stock di potassio del suolo, somministrandolo alla pianta soprattutto nelle fasi di accrescimento del frutto.

Magnesio. È l'elemento chiave della fotosintesi, il processo attraverso il quale la pianta produce carboidrati sfruttando la luce del sole. Per questo è importante che l'olivo non ne sia carente.

Calcio. È un elemento che attiva importanti enzimi e partecipa alla formazione delle pareti cellulari. È un elemento fondamentale quanto abbondante nella maggior parte dei terreni italiani.

Boro. Come ricordato questo microelemento gioca un ruolo chiave nella fase di fioritura. Nello specifico è importante per l'induzione a fiore, la germinabilità del polline, l'allegagione ed allungamento del tubetto pollinico.

Ferro. Questo metallo contribuisce al normale svolgimento della fotosintesi clorofilliana. Di solito la dotazione del terreno è sufficiente al fabbisogno della pianta, ma certe caratteristiche chimiche di alcuni suoli ne rendono impossibile l'assimilazione.